L’utilità della speranza

Partendo dalla dea e arrivando ai giorni nostri, un po’ atei, un po’ stanchi, mi chiedevo se sperare fosse utile. Non sano, non bello, non buono. Semplicemente utile.

Alcuni potrebbero affermare che sia non solo utile, ma di vitale importanza. Senza la speranza, cosa rimane?

Rimane la realtà. Resta il qui e l’adesso. Il qui potrebbe essere bello per alcuni e brutto per altri. Così, del resto, è quel presente che a stento riusciamo a vivere in modo consapevole.

La speranza, tuttavia, accompagna la nostra mente nel bene e nel male. Se va bene, speriano duri. Se va male, speriamo cambi.

Forse, e dico forse, dovremmo imparare a sperare di meno e a vivere di più. Dove vivere significa agire, agire in modo consapevole. Ragionare, scavare oltre la superficie dell’apparenza e della facilità.

Calvino diceva di prendere la vita con leggerezza, senza pesi sul cuore. Aborriva la superficialità tipica di generazioni passate e presenti. Significa, probabilmente, di liberare l’esistenza dal peso del condizionamento, di dare valore alla nostra anima e di agire di conseguenza.

Tutto ciò che distrae da questo modo di vivere, è destinato ad appesantire il corpo, schiacciare l’anima. Uccidere l’uomo.

L’uomo al quale rimarrà solo una dea, barlume dell’idea di una esistenza migliore. Una speranza su tutte e che impedirà di vivere.

Non me ne vogliano gli studiosi, per me, oggi, sperare è tempo perso.

Giorgia

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